domingo, 4 de abril de 2010




Contratto di Lavoro con Dio...
zé geraldo



Etimologicamente, agnostico viene dall’inglese agnostic, che proviene dall’aggettivo greco ágnostos, che significa ignorante, inconoscibile e deriva dal verbo agnoein, nel senso di non sapere, ignorare. La parola agnostic è stata coniata da Thomas Huxley nei Collete Essays. Huxley era un biologo inglese che è vissuto dal 1825 al 1895. Chiaro, fino a questo punto, che agnostico è colui che non conosce, che non sa certe cose(i misteri di Dio; dell’Universo; della Vita, per esempio). Non è un eretico, un settario, uno scomunicato. Per principio, io sono agnostico e laico. Spiego subito perché mi dichiaro agnostico e laico prima che qualche tizio inizi un movimento per bruciarmi in un falò in piazza pubblica, come se fossimo nei tempi della Santa Inquisizione o nel Medioevo, o dia inizio nel Parlamento a una Commissione Parlamentare di Inquisizione(CPI) che, come tutti i noi sappiamo, finirá sempre in nulla, con l’aggravante che in questo caso io saró la legna di questa pira democratica e quasi sempre inutile perché preparato nel pieno della notte e anche con l’ovvia intenzione di proteggere l’accusato perché gli accusatori sono così colpevoli quanto quelli che desiderano bruciare. Nelle campagne, noi conosciamo questo atteggiamento come bue di piranha. Piranha è un pesce carnivoro che infesta alcuni fiumi brasiliani. Bue di piranha è quel quadrupede rachitico, stremenzito, così malato e denutrito che purtroppo non potrà arrivare alla fine del viaggio. Quando una mandria di buoi deve attraversare un fiume che non si sa se è infestato di piranha, i vaccari spingono il povero cristo per attraversare davanti agli altri. Se arriva sull’altro margine illeso, allora tutta la mandria può attraversare senza paura di correre pericolo. Se il povero cristo è stato divorato dai piranha, allora la cosa migliore da fare è andare avanti e scegliere un altro braccio del fiume. Così è quasi sempre la CPI: i parlamentari scelgono il tizio già tutto infongato di accuse e trovano per lui un qualsiasi articolo del Regolamento Interno che esige una CPI, e punto e basta! Andiamo ad una pizzeria per festeggiare ancora una volta questa importante dimostrazione di democrazia e di civiltà. La mandria può attraversare il Lago Paranoá e saziarsi col denaro pubblico...Laico è colui che non appartiene al clero, e neanche ad un ordine religioso. È un secolare, opposto all’influenza o al controllo di qualsiasi chiesa e del clero nella vita intellettuale e morale delle istituzioni e degli affari pubblici. In una parola: colui che è indipendente in relazione al clero ed alla chiesa e, in senso ampio, è libero da qualunque influenza religiosa, qualsiasi sia il suo orientamento.

Sebbene non succeda molto spesso, di quando in quando mi incontro in questioni sui diritto di lavoro quando alcune persone fisiche legate alle loro entità morali per mezzo di vincoli di fede vogliono trasformare relazioni sacre in vincoli di lavoro e richiedere somme considerevoli ingiustamente dalle chiese a cui hanno appartenuto, e dalle quali si sono allontanate per motivi di fede o a causa di questioni interne, quasi sempre di foro intimo.Per il diritto, le chiese sono persone giuridiche di diritto privato. Viste in se stesse, sono comunità morali senza finalità lucrativa, tracciate sulle norme di condotta religiosa di origine divina che suppongono regolare la relazione tra gli uomini e Dio. La natura giuridica delle atività religiose è di diritto ecclesiastico. Il vincolo che unisce un ministro di Dio e la sua congregazione è di ordine morale e spirituale. Se l’attività svolta dal religioso è stata essenzialmente spirituale, fatta dentro o fuori della congregazione, ma sempre impregnata dello spirito di fede, il regolamento di questo lavoro sarà fatto dal diritto canonico, e non dal diritto del lavoro, perché questa attività decorre dallo spirito religioso o di voto e non da subordinazione giuridica. Questo vincolo è orientato all’assistenza spirituale e morale per la divulgazione della fede. Non può essere stimato pecuniariamente, anche se il religioso riceve somme relative ai mesi delle attività. Tali valori sono destinati alla sua assistenza e sussistenza e, anche, per liberarlo dalle preoccupazioni materiali perché si possa dedicare più liberamente alla sua professione di fede. Queste somme non hanno la natura retributiva dello stipendio, in senso stretto.

Il lavoratore laico che non ha vincolo morale con la sua congregazione — come per esempio il sagrestano, il custode, il carpentiere, gli ausiliari di pulizia, i musici, i decoratori, i campanari ecc — e che non presta servizio in carattere devotionis causa può firmare contratto di lavoro con la chiesa se soddisfate le presunzioni degli art.2º e 3º della CLT. Sacerdoti, suore, diaconi e ministri di Dio che, oltre alle loro funzioni evangeliche, prestano servizio in condizioni speciali come insegnanti, infermieri, istruttori di attività fisiche, di culinaria, di rilegatura e di illustrazione, tecnici di computer, revisori e redattori, tra le altre, possono avere i loro vincoli di lavoro riconosciuti se dimostrano che queste attività non hanno nessuna relazione con la vita monastica o religiosa.

Configura evidente rottura della fiducia legitima contro la chiesa — venire contra factum proprium — l’azione in cui il religioso, dimenticandosi dei voti di fede, chiede il riconoscimento giuridico del vincolo di lavoro. Dal momento che professa il suo voto, il religioso sa che si lega alla sua comunità morale attraverso un vincolo di fede, e non di lavoro. La chiesa, quando lo accetta tra i suoi, non si comporta a modo di fare sorgere nella mente di questo membro l’impressione che è considerato come dipendente, anche se tra le sue funzioni correlative assieme alle attività di fede sono incluse la divulgazione ed il commercio di abbonamenti a riviste, pubblicità e vendita di porta in porta di riviste e di altri prodotti religiosi.

In parole povere, questi professatori di fede vogliono, in verità, che il giudice del lavoro dichiari in giudizio che hanno firmato un “contratto di lavoro con Dio”. Come Dio — almeno nelle udienze che io ho presieduto — non era presente (dico meglio: era presente perché è onnipresente, ma non si è manifestato perché io dovessi decidere in altra maniera), ed io non ho potuto raccogliere da Lui l’indispensabile testimonianza personale, ho visto nella lite qualcosa di “giuridicamente impossibile”. Proprio per questo, in riguardo al merito, ho giudicato la richiesta improcedente. Non so se ho giudicato in maniera corretta o sbagliata. Non sono stato ancora chiamato a spiegare nè davanti ai miei superiori e neanche davanti al Nazareno. E, per essere onesto, ho più paura dei miei superiori. Con Gesù credo che la mia contabilità sia leggermente a mio favore...
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1.O autor é Juiz do Trabalho no Rio de Janeiro(7ª Turma). Este artigo foi publicado na Itália(Rivista Diritto & Diritti).
2.Ilustração:https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbk6wmtpygodVUxihpIEOuNJonjsbwrE3lxKNmBetMrl-ODPGB1zavwcdTWNUNFMd9xy9onqzUs_tLdu58HrzccH1lSqKmiB6ThF-ZotF6VkMilfx7BEs_fGCMTbr7awHWKxJEdKcfDSVS/s400/Cristo+Crucificado.jpg
3.E-mail do autor: ze@predialnet.com.br




Sinhá-moça.
zé geraldo



Passava um pouco das seis da tarde de uma sexta-feira carrancuda, dessas que ameaçam trovoada, vento, pancada de chuva e desabamentos, trânsito caótico, correria, árvore despencando sobre garagens e carros. O céu, antes amarelo, ficou azulzinho e depois cinza, deu de soprar aquele ar quente, abafado, dos que dizem que é hora de arrumar os teréns e ir pra casa cuidar da janta. O vento morno fazia um redemoinho no pé da guia e juntava cisco, guimba de cigarro, folha seca, chiclete, papel picado. Levantava um furacão pequeno e logo se desmanchava, deixando o lixo por ali mesmo, entupindo bueiros, afeando a cidade. As pessoas, que antes iam e vinham soltas, pensando na vida, nos amores, nas coisas, no dia de amanhã, num minuto se pegaram apressadas, aos encontrões, preocupadas em chegar ao metrô sempre apinhado, gente triste, desesperançada. Os problemas de costume: sobrando mês no fim do salário. O metrô do Rio é uma bosta. Sujo, antigo. Dá depressão.

-Queira desculpar! Queira desculpar!
-Não foi nada! Não foi nada!
-Vê por onde anda, palhaço!
-Corel Draw! Corel Draw!
-Aqui na minha mão Windows XT. Bagatela!
-Tropa de Elite V! Ainda nem saiu no cinema!

Coisas do centro do Rio.
Eu namorava sinhá-moça há uma semana, dez dias se tanto. Linda! Sempre foi. Era linda. Agora pertence aos homens que a comiam com os olhos quando passava desfilando, flutuando “sem ver seu vigia, catando a poesia que entornas no chão”, como disse Chico em “As vitrines”. É condomínio de outro. O destino embrulhou nossos caminhos. Era o amor da minha vida. Resolvemos ir ao João Caetano.Não lembro a peça.Ela não tinha carro. Nem eu.

-Táxi!

Chegamos cedo, compramos bilhete, ficamos ali, inaugurando a fila. Aos poucos foi chegando gente, chegando gente, logo tinha um montão deles, parecendo uma cobra grande esparramada até o ateliê do Francesco. Ficamos ali, ela com aquele bundão se esfregando em mim e eu com minha cara de babaca me esfregando nela.Passa um pretinho com uma caixa de engraxar. Examina a fila, me escala.

-“Graxa, aí, freguês? Sapatinho tá sambado! Deixo novinho pro dotô.

-Quero não, botafoguense, quero não!. Tentei me livrar do constrangimento.

-Pô, cara! ─ disse ─ Ajuda teu amigo aqui. Quase noite já e não arrumei nem pro café! Vai deixar um irmão na lama?, insistiu.

Outra hora! Outra hora!Tá ameaçando chuva, seu irmão aqui tá a pé, vai estragar todo o teu trabalho.

Eu não queria era me desgrudar daquele bundão, fiicar uns dez minutos feito um vaso, os pés na caixinha do moleque batucando com a escova. Vendo que não arrumava nada comigo, olhou pra mim, dos pés à cabeça, mediu cada centímetro de sinhá-moça(e só de bunda eram muitos!), fez cara de conclusão e mandou de prima:

- “Se deu bem, hein, tio?”.

E foi-se, o sacana, oferecendo os seus serviços aos patetas da fila. Isso me custou caro durante muito tempo. Quando sinhá me amava, tomava banho, se punha toda cheirosa, saía pelada pelo quarto, mirava aquele corpão no espelho oval de aço escovado e dizia, com cara de quem pergunta se vai comer agora ou quer que embrulhe: se deu bem, hein, tio?
Negrinho filho da puta!
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1.O autor é Juiz do Trabalho no Rio de Janeiro(7ª Turma) e, daquele dia em diante, passou a engraxar os próprios sapatos...
2.Ilustração:http://images.google.com.br/imgres?imgurl=https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLZT_giOYlNQlPBhRCyP1TvuUT_4RhyphenhyphenASOQ7mIAmS3k_W08TaSZAVC_Zpw6gJyPxCKBscOMQ0exSagxDVGyiC9zQaaP9GVInCNPSslQ2QUaSirQn2sK8_Wo8dHJklXa8Ab7ei1eJzAHqk/s400/Transporte+colonial+-+liteira+transportado+por+escravos.+Debret,%2B1835..jpg




Desídia.
zé geraldo


O art.482, “e” da CLT inclui a desídia entre as faltas graves que podem dar ensejo à rescisão do contrato de trabalho por justa causa. Desídia é negligência, incúria, falta de cuidado, desatenção, desleixo, desmazelo, desinteresse. É uma falta culposa e não dolosa. Há três tipos de culpa: negligência, imprudência e imperícia. Só os dois primeiros (negligência e imprudência) caracterizam desídia no processo do trabalho. Negligência é falta de atenção no momento próprio. Imprudência é atuação temporã, impensada. Imperícia é a inaptidão do empregado para certas tarefas e isso independe de sua vontade. Pode configurar-se, também, pela má aplicação dos conhecimentos que se possui. Se a desídia for efetivamente desejada pelo empregado, haverá dolo, e a falta deixa de ser desídia para ser improbidade. Em regra, a desídia é fruto da soma de vários atos sequenciais que denotam o perfil ou a intenção do empregado (impontualidade, faltas injustificadas ao serviço, desmazelo pessoal ou com as coisas da casa, serviço mal-feito, refeições preparadas sem higiene ou condimento adequado etc) mas pode se configurar pela prática de um só ato, desde que grave. A doutrina entende que todas as faltas anteriores, por desídia, devem ser punidas, ainda que mediante simples advertências verbais, sob pena de se presumir que não eram graves ou foram toleradas pelo patrão. Não é preciso que haja um escalonamento na punição (primeiro, advertência verbal; depois, escrita; em seguida, suspensão de um dia, dois ou três e, por fim, dispensa)mas é fundamental que cada falta, por menor que seja, tenha sido observada e reprimida. Na configuração da desídia como motivo determinante da resolução do contrato as faltas anteriores não se somam para aumentar a gravidade da última, mas são necessárias para desenhar ao juiz um perfil do empregado e para demonstrar, se preciso, a sua culpa. Assim como nos demais casos, as punições devem ser proporcionais à gravidade da falta, deve haver imediatidade na punição e a última falta cometida pelo empregado deve ser a causa determinante da decisão do patrão de romper o contrato (nexo itiológico entre a falta e a decisão de desfazer o vínculo). A desídia pode ocorrer no local de trabalho ou fora dele, mas sempre em função das atividades do empregado. A desídia do empregado no trato das suas obrigações pessoais não é da conta do patrão.
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1.O autor é Juiz do Trabalho no Rio de Janeiro(7ª Turma).




”Oh, mar salgado! Quanto de teu sal são lágrimas de Portugal...”.




“Água de Lastro”: ou “De Como os Navios m Nossos Oceanos, Rios e Mares em Latrina”: ou “Se nguém
                                                                                   

O que é “água de lastro”?


Quem é do mar — ou um caiçara bruto e arredio como eu — sabe muito bem que o mar é um monstro vivo, faminto, com sua imensa goela eternamente à espreita dos aventureiros, dos desavisados e dos atrevidos em geral. De todos os perigos, o mar esconde um sobre o qual quase ninguém fala, exceto as gentes do mar e os caiçaras brutos como eu: a água de lastro. A Comissão de Constituição, Justiça e Cidadania aprovou o Projeto de Decreto Legislativo nº 1053/08, da Comissão de Relações Exteriores e de Defesa Nacional, que ratifica a Convenção Internacional para Controle e Gerenciamento da Água de Lastro e Sedimentos de Navios. Segundo a Convenção, a inspeção da água de lastro passa a ser obrigatória. As autoridades navais deverão dispor de meios de coletas e análise de amostras do contrapeso usado nas embarcações. O deslastro não mais poderá ser feito à noite ou em águas rasas nem a menos de 200 milhas náuticas da terra, e sempre a uma profundidade mínima de 200 metros. Apenas em situações críticas de navegação poderá ser feito em até 50 milhas náuticas do local da atracação.

"Lastro”, é qualquer volume líquido ou sólido acondicionado nos tanques de um navio para assegurar sua estabilidade e capacidade de flutuação. Todo navio precisa de lastro. Quando um navio de carga ou de turismo navega descarregado, ou com a sua capacidade abaixo da tonelagem natural, precisa do lastro para manter-se estável, para garantir as condições ideais de flutuabilidade e a eficiência do leme e para manter abaixo do espelho d'-água as hélices de impulsão.Se não for assim, corre o risco de adernar ou de se ver partido ao meio pelos ventos, pelas intempéries, pela força do mar. Toda a carga e a tripulação podem ficar à deriva e as consequências desastrosas são previsíveis. Na navegação mercante o lastro é tirado do próprio mar. Para que a nave tenha estabilidade, seus tanques são completados com água do mar, das baías e estuários de onde a embarcação suspende(zarpa) ou onde efetivamente atraca. A isso se dá o nome de “água de lastro”. Se um navio desses parte do Brasil com a sua tonelagem incompleta, precisa do lastro para seguir adiante. Enche os seus tanques com as nossas águas e zarpa rumo ao seu destino. Nesse trajeto, como consome combustível e água, vai baixando o calado bruto, ficando mais leve e mais suscetível à raiva dos ventos e dos oceanos. A meio caminho, ou já no destino, quando completa a carga, ou reabastece, e sua tonelagem se aproxima do ideal, livra-se da água de lastro que levou daqui e a deixa no porto onde atracar para reabastecer ou completar a carga. Se faz o caminho inverso, isto é, se levanta ferros do estrangeiro, à meia-carga, e vem reabastecer ou completar a tonelagem aqui, despeja nas nossas águas o lastro que trouxe do porto estranho. Assim, de forma silenciosa e imprevisível, vão cambiando a vida de um mar para outro, espalhando misérias e destruindo, na calada dos portos, toda a fauna marinha que encontram pelo caminho. Quando uma água de lastro é tirada daqui e despejada noutro canto, ou tirada do estrangeiro e jogada aqui, deixa no novo porto toda a sorte de vida, micro-organismos, bactérias e imundícies que trouxe do mar de onde veio. Entre esses, agentes tóxicos, dejetos humanos e micro-organismos patogênicos. A água de lastro pode abrigar no interior dos tanques desde organismos vivos milimétricos, invisíveis a olho desarmado, até peixes de 30 centímetros. Em seu estágio larval ou planctônico, esses organismos microscópicos habitam a superfície das águas e se proliferam sem controle num novo ambiente marinho. Dentre as espécies mais suscetíveis de serem engolidas na operação de lastro estão as anêmonas, as cracas, os caranguejos, os caracóis, os mexilhões e os ouriços-do-mar, assim como agentes patogênicos como o vibrião da cólera(vibrio colerae), letal para a saúde humana. Esse escambo clandestino de vida natural está destruindo os mares, rios e oceanos. Pior: não há solução à vista! O comércio marítimo é necessário e irreversível, não há tecnologia disponível para substituir a água de lastro nem como evitar um desastre ecológico que vem, aos poucos, anunciando a sua força.

Estudos do Prof. Ariel Scheffer da Silva, Biólogo do Instituto Ecoplan, mostram que os navios mercantes se ocupam de mais de 80% das cargas do comércio mundial. Segundo diz, um cargueiro com capacidade para 200.000 toneladas pode precisar de 60.000 toneladas de água de lastro. A International Maritime Organization(IMO), um organismo especializado da ONU, estima que em 1939 cerca de 500 espécies exóticas foram introduzidas em ecossistemas espalhados ao redor do planeta. Entre 1980 e 1998, essa contabilidade subiu para 2.214 espécies. A IMO também diz que 12 bilhões de toneladas de água de lastro são transportadas anualmente pelo mundo, e que cerca de 4.500 novas espécies são cambiadas pra lá e pra cá nesse comboio macabro. Scheffer diz que a cada 9 semanas uma nova espécie marinha exótica invade um ambiente em algum lugar do globo, o que as torna uma das quatro maiores ameaças aos oceanos e mares. Essa troca inevitável de ambientes marinhos causou e causa diariamente prejuízos financeiros e naturais dificilmente contabilizados com exatidão. Esses novos seres invadem diariamente o nosso quintal de água e alteram para pior um equilíbrio ecológico já em frangalhos. Isso se dá porque essas espécies, tiradas do seu habitat, livram-se, pelas mãos dos homens, dos seus predadores naturais e passam a ser, no novo ambiente, elas próprias um outro tipo de predador para as espécies originárias, ou começam a crescer de modo tão descontrolado que se tornam um estorvo econômico, uma ameaça à fauna marinha ou à saúde da população local, seja a que vive da pesca, seja a que consome o pescado. Há exemplos clássicos desse desequilíbrio causado pelos navios cargueiros ou de turismo. Em 2001, a Agência Nacional de Vigilância Sanitária(ANVISA) detectou que em 71% das amostras de água de lastro de navios de cinco portos do país havia bactérias marinhas, inclusive a presença de bacilos do vibrio colerae, o vírus causador do cólera humana. Esse vírus sobrevive até 26 dias na água salgada, 19 dias na doce e até 12 dias no esgoto. Até onde se sabe, o cólera chegou ao Brasil em 1991, trazida pelas águas de lastro dos navios que partiram do Peru. Até hoje a Índia tenta erradicar de suas águas o vibrião do cólera, um problema que já foi endêmico nas décadas de 70 e 80. O vibrião também chegou a seus portos pela ação dos cargueiros. Nos EUA, a água-viva carnívora já consumiu US$10 milhões do orçamento público. Os Grandes Lagos dos EUA sofrem até hoje com o dreissena polymopha, ou mexilhão-zebra, que infesta mais de 40% das águas americanas e impõe um custo anual de US$138 milhões ao governo com a manutenção de seu equipamento público e controle das espécies aquáticas e terrestres, pois esse tipo de molusco cria suas colônias nos encanamentos hidráulicos e em qualquer tipo de passagem de água. Mais de 40 espécies alienígenas foram identificadas nesses Lagos desde 1960, e cerca de 50 na Baía de São Francisco, desde 1970. Não vai por muito, Guaraqueçaba, no litoral paranaense, sofreu com a maré vermelha, que infestou suas águas e dizimou quase inteiramente a fauna. Os cientistas apostam que o fenômeno foi causado pela água de lastro. O mexilhão dourado(limnoperna fortunei) contaminou as águas brasileiras pelo lastro dos navios vindos da Argentina. Comum nos rios e arroios chineses e no sudeste da Ásia, o mexilhão saiu no lastro dos navios da Bacia do Prata, alcançou o Rio Paraná e foi espalhando destruição a uma velocidade de 240 km por ano. Em 2001 já estava presente na Usina de Itaipu, que perde, em média, US$1 milhão por dia a cada paralisação do sistema, e, em 2002, já era visto nas hidrelétricas de Porto Primavera e Sérgio Motta, em São Paulo. É possível que a contaminação dos rios se tenha dado pela transposição dos barcos de pesca esportiva. Em 2004, chegou à Usina de Barra Bonita.

O que estamos fazendo para contornar o problema?

Economicamente, não é viável imaginar um sistema que permita 100% de esterilização da água de lastro, nem existe, por enquanto, um método que assegure esse nível de pureza. Uma vez que nenhum cargueiro pode trafegar sem lastro, e não há nenhum outro lastro mais à mão que a própria água por onde o navio flutua, o caminho mais curto para a solução do problema está na maneira de tratar a água de lastro antes de despejá-la noutro ecossistema. Utiliza-se, atualmente, um sistema de filtros que impedem a sucção de organismos maiores para dentro dos tanques de lastro, mas a quantidade de água bombeada para completar o lastro contém um nível elevado de matéria orgânica que praticamente anula as vantagens da filtragem. A filtragem não impede o bombeamento de bactérias e vírus ou outras substâncias planctônicas ou larvares. Adota-se, também, a ozonização da água de lastro, mesmo processo de purificação da água potável ou da água industrial, mas o ozônio, além de economicamente inviável, produz substâncias corrosivas quando reage com o cloro da água do mar, além de agredir de maneira importante a salubridade do ambiente de trabalho. Também se recomenda o aquecimento das águas de lastro como forma de extermínio de alguns tipos de bactérias e micro-organismos. Não se sabe, ainda, qual o nível de calor necessário para garantir a eficiência do sistema, mas é evidente que a queima de combustíveis utilizados na geração dessa fonte de calor cria um poluente, e isso é complicador, e não uma solução. Fala-se na eficiência da desoxigenação. O método até pode ser eficiente na eliminação de peixes, larvas e bactérias aeróbicas, mas é de nenhuma valia contra os dinoflagelados, cistos, bactérias anaeróbicas e diversos outros tipos de organismos bentônicos. A eletroionização tem sido utilizada no tratamento da água doce, mas não se tem estudo conclusivo sobre a sua eficiência com água do mar. A supersaturação de gás é uma técnica que pode ser utilizada em conjunto com outras, mas, isoladamente, não tem a utilidade desejada nem é eficiente com certos tipos de organismos vivos. Por esse método, produz-se água de lastro com excesso de gás e, em seguida, estimula-se a redução da pressão com formação de bolhas. Esse processo provoca hemorragia e embolia em certos organismos, mas não tem nenhuma utilidade com vírus, algas, bactérias, protozoários e cistos. Sugere-se, ainda, o tratamento da água de lastro com raios ultravioleta. Embora eficaz com micro-organismos, não funciona com protozoários, fungos e algas. De modo ainda inconclusivo, o choque elétrico tem sido testado em laboratórios com promissora eficiência. Por fim, a cloretação é eficiente com a água doce e até mesmo em grandes volumes de água a bordo de navios, mas estudos indicam que concentrações elevadas de cloro como as que seriam necessárias ao tratamento da água de lastro podem originar substâncias tóxicas. Tudo o que se pode fazer é combinar alguns procedimentos conhecidos que permitem diminuir o risco sem comprometer a viabilidade econômica do transporte marítimo de cargas e pessoas. Enquanto a pureza ideal da água de lastro não é alcançada antes de ser despejada no mar, outro problema tão sério quanto esse está na maneira como se faz o deslastro, pois o próprio processo de troca da água de lastro cria situações críticas de segurança para a tripulação, para a carga e para a própria embarcação. Alguns métodos têm sido adotados, mas a solução ideal está longe de ser alcançada. O mais eficiente sistema de troca de água de lastro é o que prevê o deslastro em alto mar e a uma profundidade superior a 500 metros. Em condições normais de navegação esse método pode ser seguro para a tripulação, para a carga ou para o navio, mas é inviável dependendo do tipo de embarcação e das condições do tempo. É o mar quem decide o destino dos homens, e não o contrário. Utiliza-se, também, o método sequencial, consistente no deslastreamento total do tanque seguido de lastreamento, mas a complexidade da operação expõe a tripulação a níveis de estresse altos demais para o serviço no mar, além de pôr a embarcação em um momento de total instabilidade, o que pode lhe custar caro. Recomenda-se o transbordamento, o que tem vantagens e desvantagens. Transbordamento é a sucção da água de lastro dos tanques, durante certo tempo, esparramando-a pelo convés da embarcação. A vantagem do método está na diminuição do nível estresse e no aumento do nível de segurança da tripulação, mas não é tão eficaz quanto o deslastreamento sequencial e agrega dois outros senões: os tanques de lastro podem ser submetidos a pressão excessiva durante o bombeamento e expor a tripulação ao contato de organismos tóxicos ou patogênicos pelo espraiamento das águas de lastro às partes superiores do navio. Outro método recomendado para o deslastro é o fluxo contínuo. Consiste na troca do lastro sem esvaziar os tanques por inteiro. Numa espécie de “vasos comunicantes”, enchem-se os tanques com água limpa na proporção de três partes de água limpa para uma de água de lastro, mantendo-se, com isso, a estabilidade da embarcação, e substituindo-se o lastro paulatinamente. Tanto quanto o método sequencial, o de fluxo contínuo tem a desvantagem de expor a tripulação ao contato com a água de lastro que é expelida dos tanques. Os especialistas concordam que o método brasileiro é, de todos, o mais eficiente e seguro. O Brasil adota o método de diluição para o deslastro. Por esse método, o carregamento da água de lastro começa pelo topo do tanque, mas, ao mesmo tempo, e com a mesma intensidade de vazão, faz-se o deslastreamento pelo fundo, de tal sorte que o nível de água no tanque de lastro seja uniforme e constante. Por esse sistema, os sedimentos orgânicos existentes no fundo do tanque são removidos sem que a embarcação comprometa sua estabilidade. Dentre as vantagens desse método, em relação aos demais, os técnicos apontam a maior eficiência em relação ao transbordamento e menor complexidade que o sequencial, constância no nivelamento do tanque lastreado e regularidade na navegabilidade da embarcação, nenhuma exposição da tripulação a agentes tóxicos ou patogênicos e possibilidade de adoção dos diversos tipos de tratamento do nível de pureza das águas de lastro, simplicidade e economia na construção dos navios e facilidade de manejo entre armadores e operadores portuários. Daqui por diante, quando você passar pela Ponte Rio-Niterói e vir, fundeados na barra,aqueles cargueiros e cruzeiros de luxo, apinhados de turistas, esperando a praticagem rebocá-los para atracarem no porto, lembre-se que um crime ecológico está sendo cometido por dinheiro, e na sua cara. Se você permite um crime, podendo evitá-lo, a culpa não é apenas daquele que delinque. Talvez agora você alcance a profundidade daquele verso de Fernando Pessoa, que eu fiz questão de botar no início deste texto: "Oh,mar salgado! Quanto de teu sal são lágrimas de Portugal...".Se você não entendeu, problema seu!
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1.O autor é Juiz do Trabalho no Rio de Janeiro e morre de medo de mar. Sabe nadar, mas, por respeito, só fica no rasinho...
2.A ilustração do Poeta Fernando Pessoa está em http://amadeo.blog.com/repository/192540/4017245.jpg3; a do navio, em http://download.ultradownloads.com.br/wallpaper/67998_Papel-de-Parede-Navio-afundando_1280x960.jpg.; a dos peixes mortos, em http://www.20minutos.es/data/img/2005/10/19/249290.jpg
3.Sobre "água de lastro", consulte: